COSA SI INTENDE PER RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE DEL MEDICO?
Per “responsabilità” si intende l’obbligo di rispondere delle conseguenze derivanti dalla propria errata condotta (commissiva od omissiva) posta in essere in violazione di una norma.
A seconda degli ambiti di operatività della norma, si distinguono:
- Responsabilità morale, in cui sono “imperativi” etico-morali ad essere infranti.
- Responsabilità amministrativo-disciplinare, violazione di norme attinenti al servizio prestato ed ai doveri d’ufficio od ancora a regole del codice deontologico.
- Responsabilità legale, ove la norma violata è quella dell’ordi
- namento giuridico, penale e civile.
Nella responsabilità morale si risponde “solo” di fronte alla propria coscienza, mentre il versante amministrativo-disciplinare comporta l’obbligo di sottostare a sanzioni comminate dal proprio Ente di appartenenza (che vanno dalla censura fino alla destituzione, a seconda della gravità dell’atto) ovvero dall’Ordine professionale (dal richiamo alla radiazione dall’albo dell’Ordine dei Medici); nella responsabilità legale si è chiamati a rispondere giuridicamente.
L’espressione colpa medica è riservata ai casi in cui il medico è chiamato a rispondere di fronte alla legge penale della propria condotta colposa da cui è conseguita una lesione personale ovvero la morte della persona assistita. L’ordinamento penale non contiene norme “ad hoc”, riservate cioè elettivamente ai medici, onde ai fini del giudizio sul comportamento professionale tenuto dal medico occorrerà fare riferimento al concetto di colpa quale risulta definito dall’articolo 43 del Codice Penale. In tale articolo il legislatore penale precisa che deve ritenersi colposo (o contro l’intenzione) un evento che, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza, o imprudenza, o imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. I primi tre elementi sono costitutivi della colpa cosiddetta generica:
- Negligenza (contrario della diligenza), una condotta caratterizzatata dalla trascuratezza ovvero superficialità od ancora disattenzione e distrazione. Superficiale si rivelerà quel medico che incorrerà in errore per non aver approfondito un dato anamnestico; distratto sarà il medico che riporta in ricetta il nome di un farmaco al posto di un altro; trascurato e disattento il chirurgo che abbandonerà corpi estranei all’interno di un campo operatorio, e così via.
- Imprudenza (contrario della prudenza), si riferisce ad una condotta improntata ad avventatezza e si concretizza, in particolare, quando pur conoscendo i rischi che si corrono si decide comunque di procedere oltre i limiti del lecito. Riguarda, per lo più, comportamenti precipitosi e talora temerari, scarsamente rispettosi dell’interesse del paziente.
- Imperizia (contrario della perizia), consiste nella scarsa preparazione professionale quale deriva da insufficienti conoscenze tecniche ovvero da un inadeguato bagaglio di esperienza specifica od ancora da un difetto di capacità. Imperito sarà quel medico che non sappia ovvero non sappia fare, mentre esso apparirà imprudente quando non saprà valutare ex ante le conseguenze delle proprie azioni, negligente infine quando farà o non farà senza l’attenzione e l’impegno che il caso richiede.
È da sottolineare come spesso in un comportamento tenuto dal medico
potranno ravvisarsi più di uno di questi elementi costitutivi della colpa. Per quanto riguarda la colpa cosiddetta specifica, essa consiste nella violazione ovvero nella non applicazione di norme che il medico era tenuto a conoscere e ad osservare e che possono essere rappresentate da vere e proprie norme di legge ovvero da norme predisposte da un’autorità pubblica od anche gerarchica finalizzate a regolamentare e disciplinare l’esplicazione di talune attività ovvero il buon andamento del lavoro (regolamenti, ordini o discipline). È l’errore commesso dal medico a costituire la “fonte” dalla quale scaturisce la responsabilità. Il professionista potrà porre in essere una condotta erronea in un qualunque momento dell’attività prestata al paziente. Si distinguono così:
- Errore nella fase diagnostica. Esso si concretizza tutte le volte che il medico non riesce a pervenire ad un corretto inquadramento diagnostico della patologia e può consistere in un incongruo approccio a partire già dalla raccolta dei dati anamnestici, non sufficientemente approfondita ovvero inadeguatamente valorizzata. Il mancato rilievo di un sintomo ovvero la sottostima di esso può spesso rappresentare il “primum movens” di un iter diagnostico non corretto perché “viziato” per così dire in partenza. Errore potrà anche aversi nell’effettuazione dell’esame obiettivo ma è dagli esami strumentali e di laboratorio che oggi derivano gli elementi quasi sempre dirimenti ai fini della diagnosi, attraverso percorsi assai spesso “codificati” in veri e propri protocolli che finiscono con il rendere sempre più inaccettabile l’errore diagnostico. Un comportamento censurabile può derivare non solo da un errore nella diagnosi ma anche da un ritardo diagnostico che finisca per comportare un connesso ritardo nell’esecuzione delle indispensabili terapie.
- Errore nella fase prognostica. Discende dalla formulazione di un giudizio di previsione che si rivela infondato e che finisce con il condizionare gli orientamenti terapeutici e con il comportare la insorgenza di un danno ingiusto. Esso è per solito associato ad un errore diagnostico, ma può ovviamente sussistere indipendentemente da questo.
- Errore nella fase terapeutica. Potrà aversi una condotta erronea in entrambi i momenti che caratterizzano la fase terapeutica, vale a dire sia nel momento della scelta della terapia sia nel momento dell’esecuzione della terapia. Anche questi errori sono spesso originati dal pregresso errore diagnostico, essendo sin troppo chiaro che se una patologia viene erroneamente diagnosticata sarà ben difficile che essa possa avvalersi di cure appropriate. Potrà, però, accadere che l’errore si concretizzi, pur in presenza di una patologia correttamente diagnosticata e di un percorso terapeutico congruamente definito, in un’erronea esecuzione ad esempio di interventi chirurgici, dovuta a scarsa abilità tecnica quando non addirittura a distrazione e disattenzione.
L’accertamento di una condotta erronea da parte del medico non è sufficiente ai fini della responsabilità in quanto affinché il medico si trovi a vederla pienamente impegnata è necessario che si riesca a stabilire un preciso legame fra l’errore commesso dal medico (sia esso diagnostico, prognostico e terapeutico) e il danno subito dall’assistito (lesione personale o morte), in guisa tale da potersi affermare che il il danno è diretta conseguenza dell’errore. Occorre, in altri termini, procedere all’accertamento del nesso causale. In materia di colpa medica l’accertamento del legame nessologico fra condotta ed evento di danno è spesso problematico in relazione alla complessità dei fenomeni clinici da analizzare (non di rado condizionati da variabilità soggettive o da atipicità di decorso) e da imperfette conoscenze scientifiche. Occorre, poi, tener conto che molte patologie, pur opportunamente trattate, possono presentare delle complicanze “intrinseche” alla patologia stessa e non dipendenti dalla pur lodevole condotta medica, così come alcune terapie, pur indicate in relazione al caso concreto, possono comportare effetti collaterali cosiddetti “iatrogeni” perché direttamente collegati alla terapia effettuata ma non riconducibili ad errore medico. Da tutto ciò discende, spesso, la difficoltà del medico legale di esprimersi, in materia di colpa medica e di accertamento del rapporto causale fra condotta ed evento dannoso, in termini di certezza assoluta, dovendo piuttosto fare ricorso ad un criterio di carattere statistico-probabilistico. La giurisprudenza, più recentemente orientata alla ricerca della dimostrazione della prova della colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio, richiede soprattutto in materia di colpa omissiva che l’esistenza del rapporto fra condotta ed evento di danno sia ammessa con un grado di probabilità molto elevato ed assai prossimo alla certezza.
Il compito di esprimere il giudizio sulla responsabilità penale del medico è di stretta pertinenza della magistratura, la quale tuttavia non dispone del bagaglio di conoscenze e di competenze tecniche necessarie per valutare se, in relazione al caso concreto, la condotta del medico sia censurabile (ricorrendo uno o più degli elementi costitutivi della colpa medica) e se a tale illecita condotta siano ascrivibili o meno le conseguenze di danno derivato al paziente. Per tale motivo ogni qual volta la magistratura è chiamata a pronunciarsi sulla sussistenza di colpa medica, essa si avvale dell’ausilio di un consulente tecnico ovvero di un perito specialista in medicina legale (spesso affiancato da uno specialista della branca medico-chirurgica di pertinenza dell’indagine giudiziaria), alla cui competenza è demandato l’accertamento degli aspetti tecnici. Sia il medico indagato che le parti lese hanno facoltà di farsi assistere a loro volta da consulenti di parte, i quali partecipano a pieno titolo a tutte le fasi del procedimento giudiziario, compresa quella del dibattimento in aula. Sarà, infine, il giudice ad emettere la sentenza, di assoluzione o di condanna, sulla base delle risultanze emerse nel corso del giudizio, derivanti dalla “dialettica tra le parti” (pubblica accusa, parte civile e difesa).
La responsabilità penale non esaurisce la gamma delle conseguenze cui il medico è esposto in ragione della propria illecita condotta professionale. Esiste, infatti, la responsabilità civile, che fa obbligo al medico di risarcire il danno arrecato al proprio assistito in tutti i casi in cui, nel comportamento posto in essere, siano ravvisabili gli estremi dell’illecito e – beninteso – sempre che venga accertato il rapporto causale fra condotta ed evento di danno. All’interno della responsabilità civile è necessario distinguere:
- La responsabilità extracontrattuale, alla cui base si trova la norma di cui all’articolo 2043 del codice civile:Risarcimento per fatto illecito. Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.
- La responsabilità contrattuale, quale si ricava dall’articolo 1218 del codice civile:Responsabilità del debitore. Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Si versa in materia di responsabilità contrattuale tutte le volte in cui esiste un rapporto di tipo obbligatorio precostituito, quale nel caso del medico deriva da un contratto di lavoro subordinato ovvero da un contratto d’opera intellettuale. La responsabilità extracontrattuale prescinde dalla preesistenza di un rapporto (si pensi alle prestazioni in urgenza e con paziente in stato di non coscienza e quindi nella impossibilità “contrattuale”) e scaturisce dall’illecito per violazione del principio di carattere generale del “neminem laedere”. In buona sostanza, nel primo caso si sarà chiamati a rispondere per non avere adempiuto all’obbligazione oggetto del contratto; nel secondo caso per essere venuti meno all’obbligazione di carattere generale di non arrecare danno ad alcuno. Circa l’obbligazione di natura “contrattuale”, essa consiste in una obbligazione di mezzi e non di risultato, vale a dire il medico s’impegna con l’assistito non già a garantire il risultato della guarigione (dal momento che non dispone di tale potere taumaturgico in termini assoluti) ma piuttosto ad utilizzare i mezzi più idonei che la scienza medica mette a disposizione per raggiungere il risultato. Da tanto deriva che un risultato non favorevole conseguito ad una terapia non può essere, sic et simpliciter, posto a carico del medico, occorrendo la prova che esso sia causalmente o concausalmente ricollegabile alla condotta professionale inadempiente del medico. Peraltro, occorre sottolineare che in caso di responsabilità contrattuale l’onere della prova è a carico del debitore (il medico), tenuto a dimostrare che la lamentata (dal creditore-danneggiato) inadempienza è dovuta a causa non a lui imputabile; nella responsabilità extracontrattuale l’onere della prova è invertito, spettando al danneggiato fornire la dimostrazione della esistenza dell’illecito, la qual cosa presuppone la prova della condotta colpevole, dell’evento di danno e del nesso causale. Deve, però, precisarsi che in caso di prestazione medico-chirurgica, entrando in gioco beni di interesse primario quali la salute e la vita, è di regola sempre operante, accanto alla responsabilità contrattuale, anche quella extracontrattuale in quanto il medico è sempre tenuto a rispettare i beni suddetti, indipendentemente da qualsivoglia preesistente obbligo contrattuale. Un ultimo aspetto da precisare riguarda il fatto che da una condotta illecita può originare sia una responsabilità penale che una responsabilità civile; in altri termini essa potrà essere sanzionata penalmente ed anche comportare l’obbligo di risarcire il danno arrecato. Potrà, altresì, originare provvedimenti e sanzioni di carattere amministrativo-disciplinare.
Un particolare aspetto del nesso causale per omissione riguarda la penale responsabilità professionale per errore colposo del medico. Si tratta di quei casi in cui l’omissione o il ritardo di una prestazione diagnostico-terapeutica per colpa, si ipotizzi possano avere cagionato un evento di danno al paziente, determinandone o anticipandone apprezzabilmente il decesso, ovvero inducendo un ritardo nella guarigione clinica, o una guarigione con conseguenze che la tempestiva esecuzione dell’intervento omesso o ritardato avrebbe evitato o reso di entità meno eclatante. Si pone l’esempio del ritardo diagnostico per omessa o ritardata indagine TC, in paziente con aneurisma dell’aorta addominale, prossimo alla rottura, con conseguente omissione di tempestiva attività chirurgica e morte del paziente; ovvero quello della lesione tendinea trattata con evidente ritardo per negligenza del chirurgo, con attività differita e come tale meno efficace per intervenuti fenomeni di retrazione dei monconi, o per subentrati fatti aderenziali. In siffatti casi l’accertamento del nesso causale omissivo appare meno agevole rispetto a quello che più spesso si propone nella responsabilità commissiva, dovendosi qui stabilire la rilevanza eziologica del trattamento doveroso omesso o ritardato nel determinismo dell’evento dannoso. Il che, come è ovvio in ragione della grande variabilità di decorso della patologia umana, implica spesso valutazioni in termini probabilistici, specie quando la patologia in esame, per sue intrinseche caratteristiche, potrebbe comunque culminare nell’evento di danno, nonostante una più adeguata e tempestiva attività medica. Ed è evidente che in siffatti casi il giudizio sul nesso causale non possa né debba prescindere dalla considerazione del fatto sulla base di consolidate leggi scientifiche e su criteri di attendibile probabilità statistica, da applicare tuttavia al caso concreto partendo da un ragionamento cosiddetto “di tipo controfattuale”; essendo necessario stabilire se la condotta impeditiva omessa, ove posta in essere nei modi e nei tempi dovuti, avrebbe evitato – e con che livello di probabilità – il verificarsi dell’evento dannoso, ovvero, nelle ipotesi di eventi che comunque si sarebbero verificati, una significativa anticipazione degli stessi. La penale responsabilità del medico per comportamenti omissivi è da escludere, con esito assolutorio del processo, nei casi di insussistenza, contraddittorietà ed incertezza probatoria, quando ricorra quindi il plausibile e ragionevole dubbio, fondato su specifici elementi che in base all’evidenza disponibile lo avvalorino nel caso concreto. L’indagine medico-legale in tema di nesso causale deve essere volta a verificare, oltre ogni ragionevole dubbio, se l’attività omessa o ritardata avrebbe evitato l’evento di danno con elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica; da qui la necessità di un’indagine condotta con rigore metodologico e con analisi criteriologica fondata su regole di esperienza e soprattutto di leggi dotate di validità scientifica, frutto della migliore scienza nel momento storico in cui l’indagine viene espletata.
Nel corso dell’analisi criteriologica del nesso di causa è necessario vagliare i cosiddetti “livelli di evidenza” basati sulle prove o evidenze (EBM, Evidence Based Medicine); tali livelli vengono essenzialmente classificati come segue:
A) Quale massimo livello di evidenza, se i dati derivano da molti studi clinici randomizzati comprendenti un gran numero di pazienti.
B) Quale livello di evidenza intermedio, se i dati derivano da un numero limitato di studi clinici randomizzati comprendenti un piccolo numero di pazienti o da analisi eseguite in maniera accurata di studi non randomizzati o di registri osservazionali.
C) Quale livello di evidenza più basso, se la raccomandazione viene formulata primariamente sulla base del parere degli esperti in materia.
La parola responsabilità ha un duplice significato: non solo quello di attitudine ad essere chiamati a rispondere ad una qualche autorità di una condotta professionale riprovevole, ma anche quello di impegno per mantenere un comportamento congruo e corretto. Di tali due aspetti della responsabilità, quello menzionato per primo corrisponde ad un concetto del termine che rispecchia un’ottica definibile come “negativa”, perché si è chiamati a rispondere, quando ormai l’errore o l’omissione è stato commesso, in contrapposizione a quella “positiva” del secondo aspetto, che corrisponde all’essere responsabili, all’assumersi cioè le responsabilità che l’esercizio professionale comporta e che è volto ad evitare errori od omissioni. Questi due aspetti della responsabilità sono piuttosto i principi ispiratori di due stili di agire professionale.
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